IL CAMPO CON I CAMPI INTORNO

 

L'estate dei braccianti africani quest'anno inizia il 4 giugno con l'apertura del dormitorio temporaneo, organizzato e sorvegliato all'interno dell'area della ex caserma Filippi, di fianco al viale alberato del Foro Boario dove l'anno scorso sorgeva Guantanamò, baraccopoli occupata e autogestita.
Il progetto PAS (Prima Accoglienza Stagionali) prevede un'area attrezzata esterna e un unico camerone con 184 letti a castello nuovi di zecca per un totale di 368 posti a dormire, non pensato certo per garantire privacy e riservatezza. Ma, ormai è risaputo, “loro” sono abituati a vivere ammassati come animali e si adegueranno! Al dormitorio si affiancherà il sistema dell'accoglienza diffusa già sperimentato gli anni scorsi: sarà gestito dalla Caritas che, dopo aver tolto le castagne dal fuoco al comune nel triennio 2014-2016 con il “Campo Solidale” al Foro Foario, quest'anno farà un servizio ai datori di lavoro ospitando chi avrà dei contratti più lunghi. Coldiretti metterà a disposizione qualche container a Saluzzo e Lagnasco come fa ormai da anni: nessuna novità per la potente organizzazione che rappresenta la maggior parte degli imprenditori agricoli, brillante per assenza circa l'ospitalità in azienda e per omertà sul trattamento riservato ai lavoratori.
Per la prima volta anche a Saluzzo, come succede in altri luoghi d'Italia, Rosarno in particolare, ad inizio stagione l'amministrazione comunale si fa carico direttamente del contenimento e disciplinamento dei lavoratori migranti attraverso la consueta forma “campo”, considerata l'unica soluzione possibile al problema. E' giusto e normale che centinaia di migranti vivano all'interno di luoghi chiusi e sorvegliati, lontano dalla vista delle comunità locali, braccia sempre disponibili per il lavoro nei campi.
Il costo del progetto è di circa 300.000 Euro, per la maggior parte concessi dalla regione Piemonte e dalle banche, per “fare un servizio al comparto agricolo” ha dichiarato il sindaco; comparto agricolo formato da grandi aziende che, nonostante le lamentazioni sugli eventi meteorologici, le malattie delle piante, l'andamento dei mercati, macinano milioni di euro e continuano a speculare sugli ultimi e più deboli anelli della catena, i piccoli produttori e i lavoratori.
La Lega lo ha chiamato “centro sociale” dove gli immigrati trascorreranno le vacanze estive (!), qualcuno lo ha confuso con un “centro di accoglienza” per i profughi; “dormitorio per stagionali” lo chiamano gli estensori del progetto, rigorosamente temporaneo. A fine stagione tutti se ne dovranno andare (se te ne vai prima ti pagano anche il viaggio) perchè per i migranti la casa non è un diritto, per loro al massimo un dormitorio che è già tanto rispetto ad una tenda o una baracca. Meglio mettere subito le cose in chiaro: d'inverno a Saluzzo non c'è lavoro quindi vadano altrove, non importa dove, sarà un problema per qualcun altro. Chi è costretto a passare da un ghetto all'altro per sopravvivere non può neanche immaginare di potersi fermare in un luogo, avere un po' di stabilità e una residenza reale, indispensabile per il rinnovo del permesso di soggiorno, l’assistenza sanitaria, etc.... Per chi vive in condizioni simili parlare di integrazione suona veramente come una beffa.
L’organizzazione è affidata ad una cooperativa che dovrà garantire la sorveglianza 24 ore su 24 e il rispetto del regolamento che i migranti dovranno sottoscrivere all’ingresso; ognuno di loro sarà munito di tesserino di riconoscimento. Orari di apertura e chiusura. All’interno del campo interverrà anche la CGIL, ma solo per la mediazione culturale e non per l’attività sindacale, evidentemente non gradita ai padroni.
Il sistema si regge sul principio che i migranti non possono auto-determinarsi, anzi, nel momento in cui si organizzano da soli rappresentano, come minimo, un problema. Le istituzioni e il terzo settore sanno a priori ciò di cui essi hanno bisogno, non è necessario prevedere forme di consultazione o partecipazione; devono provvedere a contenerli, gestirli, controllarli, trasferirli in altre strutture o allontanarli, reprimerli se necessario.
Un sistema spersonalizzante, che non tiene minimammente conto dei bisogni individuali e porta alla sottomissione e all’infantilizzazione, che crea dipendenza e non autonomia. Pur in condizioni estreme, la formidabile esperienza di autogestione all’interno del campo abusivo di Guantanamò l’anno scorso, 700 persone che hanno convissuto pacificamente sulla base di un patto sociale non scritto e non imposto a/da nessuno, non andrebbe dimenticata e nemmeno sottovalutata.
Quei muri e quel dormitorio esageratamente grande sono la rappresenzazione dell’incapacità di pensare qualcosa di diverso dopo tanti anni.
Infine c’è la sorveglianza, l’obiettivo principale e dichiarato di tutta l’operazione, altro che percorsi di emancipazione e diritti. Muri ferrati proteggeranno la terra di nessuno dove gli anni scorsi c’era Guantanamò, al fine di impedire il sorgere di un campo abusivo a fianco di quello istituzionale come altrove in Italia. Una piccola porta di accesso al campo presidiata permetterà l’entrata e l’uscita disciplinata dei lavoratori in bicicletta. Impianto di videosorveglianza e accordo con la Prefettura per intensificare i controlli diurni e notturni delle forze dell’ordine. A sentire le dichiarazioni di questi giorni tutta l’area sarà dunque blindata, per garantire ordine e legalità e, ovviamente, proteggere i cittadini. Perché bisogna parlare anche alla pancia della gente e inseguire Lega e razzisti sul loro terreno in vista delle elezioni comunali del prossimo anno. Così non si fa altro che alimentare la paura e condannare i migranti ad un eccesso di isolamento ed esclusione.
Mentre tutto intorno le frontiere si chiudono per chi se ne vuole andare, spinto da un insopprimibile desiderio di libertà, anche Saluzzo, dunque, chiude i suoi migranti in un recinto protetto dal filo spinato. Uomini…lavoratori…e ancora una volta nessuno osa parlare di sfruttamento, che è il cuore del problema (la legalità vale solo per i migranti e non per i padroni).
Porte aperte e ponti, non muri!

Saluzzo, 4 giugno 2018

Comitato Antirazzista Saluzzese

Cartoline da Guantanamo è scaricabile nella pagina pubblicazioni. 

NON VA BENE VIVERE COSI’…

 

Sono stato tra i primi ad arrivare a Saluzzo quest’anno, era il mese di aprile e al Foro Boario non c’era ancora niente. Eravamo in pochi e ci siamo sistemati in un magazzino che nessuno usa perché è tutto rotto; a maggio hanno aperto il campo solidale e sono entrato. Meglio dell’anno scorso ma per noi è sempre Guantanamo’. E’ il secondo anno che vengo qui. Nel 2013 mi trovavo senza lavoro, intorno a Milano ci sono tante fabbriche ma tutto dove andavo la risposta era sempre la stessa: “Adesso non abbiamo bisogno, non c’è lavoro, non c’è lavoro”. Un amico era già stato a Saluzzo e mi ha detto che potevo provare, che lui aveva trovato. Allora sono venuto. Quando sono arrivato a Guantanamo’ ho pensato: “Non va bene vivere così!” ma non c’era altra soluzione così mi sono fermato e ho cominciato a girare con la bici, come tutti. Il lavoro nella frutta dura poco, non ci sono garanzie, devi prendere quello che ti danno perché sei un nero e per noi funziona così, in questo momento non c’è altro. Ho lavorato 5 giorni, solo 5 giorni a raccogliere i kiwi a Lagnasco, prima niente, niente pesche e niente mele.

Per l’inverno sono tornato dove ho la residenza, in provincia di Como, vicino ad Appiano Gentile dove si allena la squadra dell’Inter. Sono ospite a casa di un mio parente che da 24 anni è in Italia e vive con sua moglie e i figli. E’ lui che mi ha trovato un lavoro per farmi venire dalla Costa d’Avorio. Sono arrivato nel mese di aprile del 2012 con l’aereo, mi hanno fatto un permesso per motivi di lavoro e mio cugino mi ha pagato il biglietto, io ho dovuto pagare tanti soldi per avere il passaporto e il visto. Nel 2012 la guerra era appena finita e avevamo perso tutto, non avevamo soldi e non sapevamo cosa sarebbe successo, da noi è così. Ho deciso di partire, a vedere in televisione l’Italia sembrava bella, pensavo di trovare la fortuna e un po’ di soldi per mia moglie, mia figlia e tutta la famiglia, mio padre e i miei fratelli. Fino ad ora non è stato come immaginavo.

Io appartengo al popolo Peul, siamo nomadi, facciamo i commercianti; allevavo le mucche ma facevo anche commercio di vestiti e altra roba con i paesi vicini. Abito nella zona di Port-Bouet, poco lontano da Abidjan, la capitale. Sono andato a scuola 5 anni. Me la ricordo bene la guerra, le esecuzioni ordinate dal presidente Gbagbo, i militari contro i civili sostenitori di Ouattara, i morti lungo le strade. Una volta mi hanno preso e messo in prigione, dicevano che ero un ribelle. Mi hanno portato in un campo e messo in una cella insieme ad altre 3 persone; per fortuna che la mia famiglia è riuscita farmi rilasciare. Noi siamo commercianti, non ci occupiamo di politica. Nel 2003 mi sono sposato e subito dopo è nata mia figlia, che adesso va a scuola.

Il mio primo lavoro in Italia è stato in una impresa di pulizie, appena sono arrivato, poi quel lavoro è finito e più niente. Adesso mi hanno rinnovato il permesso perché sono “in attesa di occupazione” ma se non trovo un contratto come faccio? Quest’anno ho lavorato qualche giorno in nero, nessuno mi ha fatto un contratto. Non ho cercato solo in campagna, ho portato il mio curriculum alle agenzie interinali, in bicicletta ho girato a Fossano, a Savigliano, a Cuneo, ho già fatto domande dovunque, spero di trovare un lavoro normale. E anche una casa, non posso stare sempre da mio cugino, non voglio essere un peso per lui e la sua famiglia, non voglio essere un peso per nessuno. Vorrei restare qui a Saluzzo perché qui mi sono trovato bene, magari per un po’ andrò a Torino così sono qui vicino se mi chiamano. Non posso fare progetti per il mio futuro: devo trovare una casa e un lavoro, questo è più importante, non penso ad altro, anche tanti italiani hanno questo problema. Ogni anno veniamo qui in tanti, tutti per lavorare anche se sappiamo che ci pagano poco e c’è lavoro solo per qualche mese, però bisognerebbe che i padroni faccessero la loro parte, secondo la legge. Ma noi non possiamo dire proprio niente, non possiamo fare casino altrimenti prendono qualcun altro oppure abbiamo problemi con il permesso di soggiorno. Tutti sanno questo, i padroni sanno questo, però io penso che non è giusto!

Adesso siamo rimasti in pochi a Guantanamo’, oggi sarò l’ultimo ad andare via. Sono stato tra i primi ad arrivare…

                                                                                                 Saluzzo, 24 novembre 2014

Stigmatizzare i comportamenti irresponsabili

Comunque la si voglia vedere, la manifestazione dei migranti che si è svolta domenica scorsa ha rotto un equilibrio ed un silenzio che faticosamente ma con determinazione le istituzioni cittadine e le forze dell’ordine hanno cercato di mantenere durante la stagione della frutta che ormai volge al termine. Equilibrio e silenzio, ovvero indifferenza. E’ meglio che non se ne parli troppo perché altrimenti il razzismo della maggioranza silenziosa potrebbe venire pericolosamente a galla e le opposizioni politiche ne potrebbero approfittare visto che sull’argomento non abbiamo niente di interessante da dire. Già, così la pensa la sinistra che governa la città, così la pensa la sinistra che governa il paese e affida ad Alfano la gestione del problema migranti.

E invece di immigrati bisogna parlare, con gli immigrati bisogna dialogare e saper ascoltare, con quelli che abitano in città da anni e con quelli che in città ci restano per qualche mese nel tentativo di trovare un lavoro mal pagato. Accettando anche di vivere sotto una tenda o sotto un ponte pur di alimentare la debole speranza per un presente migliore rispetto alla realtà lasciata alle spalle nei paesi d’origine.

Le istanze dei migranti sono legittime e niente affatto irricevibili, non è solo sul piano umano che bisogna affrontare la situazione, ci pensano le associazioni di volontariato e la Caritas che di questo si occupano prevalentemente. Continuare a ripetere lo stanco ritornello che “anche le famiglie saluzzesi” devono affrontare “problemi pesanti”, che non ci sono “strumenti efficaci” per risolverli alimenta solo una contrapposizione tra le fasce più deboli della popolazione e non risolve affatto i problemi della casa e del lavoro. Continuare a ripetere che il problema è “più grande di noi” è solo un modo elegante per fare poco o nulla e di certo non sostiene una cultura diffusa dell’accoglienza e dell’integrazione. E questo lo sanno bene gli urlatori e i razzisti di professione che invece di questi problemi parlano troppo, alimentando intolleranza e nostalgie fasciste che non vorremmo più vedere né sentire per rispetto dei partigiani caduti sulle nostre montagne.

Ben vengano quindi le polemiche ideologiche, ovvero la politica che significa semplicemente decidere da che parte stare.

Inaccettabili sono le case vuote e sfitte per non turbare il mercato immobiliare e perché “non si affitta ai neri”, irregolari sono le buste paga della maggior parte dei braccianti agricoli, illegale è il lavoro nero, da abolire è la legge Bossi-Fini per porre fine alle tristi processioni presso gli uffici immigrazione delle questure d’Italia! Altro che condannare, stigmatizzare, respingere…

 

Il comitato antirazzista ha scelto da che parte stare, in prima linea a fianco dei migranti per fornire un aiuto concreto, comprendere anno dopo anno, un fenomeno che 5 anni fa era nuovo e ancora sconosciuto per Saluzzo, dare voce, sostenere le richieste e le lotte dei migranti. La nostra scelta negli anni ha creato momenti di tensione e anche di scontro con le istituzioni ma non ci siamo certo scoraggiati e qualche risultato lo abbiamo ottenuto. Non ci stupiscono affatto le “attenzioni” delle forze dell’ordine nei nostri confronti e nei confronti dei migranti che osano alzare la testa e parlare, sta nella logica degli eventi e non ci siamo mai illusi che potesse essere diverso; così come non ci stupisce affato che un sindaco, indipendentemente dal colore politico, si rifiuti di considerare gli antirazzisti o i migranti degli interlocutori.

Ci ha stupiti invece che un gruppo militante a favore dei migranti abbia sfruttato la visibilità di una nostra iniziativa per organizzare una manifestazione definita “spontanea”. Al di là della spettacolarizzazione del conflitto e dei facili slogan bisogna stare dentro ad una realtà per capirla fino in fondo e il nostro percorso di questi anni lo dimostra. Il resto sono solo paroloni o post su facebook.

Intanto la lega plaude al sindaco pd che dice cose leghiste e organizza pulman per una manifestazione razzista, qualche deficiente agita lo spauracchio dell’invasione dei clandestini e di ebola…

 

Nell'ambito di GUANTANAMO BEACH...
giovedì 14 agosto- ore 21,15 - a Saluzzo, Foro Boario
proiezione del film MACHAN - LA VERA STORIA DI UNA FALSA SQUADRA 
A partire dalle ore 18, angurie sotto l'ombrellone!
 
i giovedì di Guantanamo Beach proseguono
 
il 21/8 con MUSICA DAL VIVO E DJ SET
e il 28/8 con la cena dei grandi FORNELLI IN LOTTA. 
 
Per chi non è in vacanza...SOLIDARIETA' E DIGNITA' PER I MIGRANTI!

CORSO DI ITALIANO

Tutti i mercoledi da luglio a settembre
dalle ore 18,30 alle ore 21,30

presso il salone del Consorzio Monviso Solidale

via Vittime di Brescia 3 SALUZZO (palazzo INPS, ultimo piano)

L’italiano per tutti, per imparare in modo semplice e divertente gli elementi della lingua più utili per la conversazione, il lavoro, l’accesso ai servizi.

Informazioni:

fb comitato antirazzista saluzzese

oppure tel. 3806910580/3890094950

 

Saluzzo – Si svolgerà domenica 6 luglio presso gli impianti sportivi di via Sant'Agostino la Quarta Festa Antirazzista organizzata dal Comitato Antirazzista Saluzzese.

La festa vuole essere innanzitutto una occasione per dare il benvenuto a chi arriva, la testimonianza che Saluzzo è solidale con i migranti, nonostante le notevoli difficoltà a trovare una accoglienza per tutti e le problematiche legate alle condizioni di lavoro. Poi momento di conoscenza diretta e confronto, anche attraverso lo sport e la musica, per andare oltre gli stereotipi che spesso alimentano il pregiudizio e l’esclusione ma anche lo sfruttamento.

Il programma prevede:

alle ore 14,30 il torneo di calcio multietnico;

dalle 17,30 in poi banchetti informativi su salute, lavoro, corso di italiano, testimonianze. Sarà presente una delegazione di ARI (Associazione Rurale Italiana), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina, che già l’anno scorso fece tappa a Saluzzo in occasione della Fiera di San Chiaffredo.

Ospite d’eccezione della giornata sarà Yvan Sagnet per parlare delle sue lotte a fianco dei braccianti stranieri in Italia.

Yvan Sagnet

È nato nel 1985 a Douala (Camerun). Nell’agosto 2008 arriva in Italia e si iscrive al politecnico di Torino per studiare Ingegneria delle Telecomunicazioni. Per sostenere le spese delle tasse universitarie cerca lavoro nelle campagne pugliesi e sarà uno dei portavoce durante lo sciopero alla Masseria Boncuri nell’agosto 2011. Autore del libro “Ama il tuo sogno” (Fandango, 2012), straordinario racconto della sua esperienza contro il caporalato, lavora per il sindacato dei braccianti agricoli flaiCGIL.

Per finire la giornata, dalle 19,30, apericena musicale.

Durante la serata la performance di DJ Piddu feat. Dema outta Rootz Flava e special guests dj’s e musicisti africani.

Dj Piddu

Conosciuto anche come “The Italian Boss DJ”, uno dei massimi esperti di musica jamaicana in Italia, negli anni ha suonato nei migliori club italiani, con numerose puntate all’estero (Francia, Austria, Svizzera e Belgio).

Negli anni ha diviso palco e consolle con artisti quali: The Aggrolites, Hepcat, New York Ska Jazz Ensemble, Dr Ring Ding, The Trojans, Mr TBone, Rotterdam Ska Jazz Foundation, Alton Ellis, Rico Rodriguez, The Selecter, Jamaica Allstars, Junior Kelly, Buju Banton e molti altri.

Da anni collabora con il festival musicale “Nuvolari Libera Tribù” di Cuneo.

Ingresso libero, naturalmente. L’orario dell’apericena potrebbe essere spostato un po’ più tardi per permettere anche a coloro che fanno il Ramadan di partecipare


Saluzzo, giugno 2014

 

Saluzzo – Si intitola “Cartoline da Guantanamo’” il libro sui braccianti realizzato dal Comitato Antirazzista Saluzzese che sarà presentato il 12 aprile al Circolo Ratatoj.

Il volume raccoglie le fotografie dei noti artisti Andrea Fenoglio e Alex Astegiano i quali hanno ritratto due facce di una realtà complessa: da un lato i migranti che si sono fermati sul territorio alla ricerca di un po’ di stabilità e di una integrazione possibile, dall’altro lo squallore della tendopoli abusiva abbandonata alle soglie dell’inverno, immagini simbolo di una condizione di vita precaria e inaccettabile.

 

Andrea Fenoglio è film maker e artista visuale. Tra i suoi documentari: “L’isola deserta dei carbonai” (2007), vincitore del premio della giuria al 55° Trento Film Festival, del premio della giuria al 10° Cervino Cine Mountain e del premio Città di Imola 2007; “Il popolo che manca” (2010), vincitore del premio speciale della giuria, del premio UCCA e del premio AVANTI al 28° Torino Film Festival, del premio della critica cinematografica italiana “Luciano Emmer” al 59° Trento Film Festival. Gia autore del film “Invisibili” (2013), attualmente sta lavorando al progetto “La Terra Che Connette”, sui migranti africani a Saluzzo.

Alex Astegiano, free lance, grafico pubblicitario, fotografo. Cofondatore e ex cantante del gruppo rock Marlene Kuntz. Dal 1995 al 1998 comincia a documentare sul campo la cultura e la religione indiana e buddista, opera che continua fino al Maha-kumbh-Meela del 1998 (l’ultimo giubileo induista del millennio passato), quando segue il pellegrinaggio dalle pianure dell’Uttar Pradesh fino a Gaumuch e da Tapovan (4.500 mt, Himalaya) alle sorgenti del Gange.

Collabora con: Slow Food, Rumore, XL Repubblica, La Rivista della Montagna, Traffic Torino Free Festival, Nuvolari Libera Tribù, Marlene Kuntz, MonfortinJazz.

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Il libro è arricchito da un interessante saggio di Gianluca Nigro, operatore sociale, membro dell’associazione Finis Terrae Onlus, da circa quindici anni si occupa di interventi sul tema dell’immigrazione. Ha pubblicato alcuni saggi sul lavoro migrante in agricoltura e sul diritto d’asilo in Italia ed è coautore di "Sulla pelle viva - Nardò: la lotta autorganizzata dei braccianti agricoli" (ed. Derive Approdi) Negli ultimi anni segue da vicino il fenomeno del lavoro migrante e collabora con le reti militanti che operano in questo campo

Il musicista maliano Baba Sissoko ha donato in esclusiva per “Cartoline da Guantanamo’” alcune foto e il testo (in lingua bambarà e traduzione in italiano) della canzone “Amina”, dedicato ai suoi fratelli africani e scritto dopo l’emozionanate concerto a Saluzzo nell’estate del 2013.

 

Il programma della giornata prevede a partire dalle ore 17,00 il convegno “Il problema è il lavoro – Per parlarne ad alta voce” con il seguente programma:

Gianluca Nigro (Associazione Finis Terrae onlus): “Il migrante lavoratore: questo sconosciuto”; Avv. Marco Paggi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione): “Le difficili condizioni di ingresso e la facile ricaduta nella irregolarità degli stranieri in Italia, l’incidenza del lavoro nero e grigio dei migranti in agricoltura”; Nino Quaranta e Brahima Diabaté (Sos Rosarno): “Appunti sulla stagione che volge al termine”. Ha aderito ARI(Associazione Rurale Italiana).

Alle 19,30 presentazione del libro “Cartoline da Guantanamo’”(Trengari Autoproduzioni). Saranno presenti gli autori.

A seguire aperitivo musicale con i Fornelli in Lotta.

 

Alle 22 concerto di Sandro Joyeux con la sua band

Musicista giramondo, getta un ponte tra la canzone francese e i ritmi del mondo, mescola musica di viaggi, di danza e di condivisione. I suoi concerti sono viaggi attraverso i ritmi del deserto e le strade polverose del West Africa, le banlieue parigine e il reggae dei ghetti giamaicani ispirazione fortemente votata al racconto di un mondo che migra e si trasforma, ne rende il messaggio quanto mai importante ed attuale.

 

Ingresso libero.

LA MIA CLASSE

21 marzo giornata mondiale contro il razzismo:

A Saluzzo proiezione del film "La mia classe” di Daniele Gaglianone

 

In occasione della giornata mondiale contro il razzismo, venerdì 21 marzo 2014 alle ore 10,45 persso il Cinema Politeama Civico a Saluzzo, verrà proiettato il film “La mia classe” del regista Daniele Gaglianone.

L'iniziativa è organizzata dal Circolo Ratatoj, in collaborazione con il Comitato Antirazzista Saluzzese, Comitato Arci Monviso e La Terra Che Connette, con il patrocinio del Comune di Saluzzo. Hanno aderito all'iniziativa alcune classi del Liceo Socio Pedagogico Soleri di Saluzzo e della Scuola di Formazione Professionale Murialdo di Pinerolo.


Il film, del regista torniese Daniele Gaglianone, racconta la vicenda collettiva di una classe di migranti stranieri che imparano l’italiano in una scuola romana, guidati da un insegnante interpretato da Valerio Mastandrea. Il lungometraggio, presentato al Festival del Cinema di Venezia 2013, sarà proiettato in esclusiva a Saluzzo.

E' previsto in collegamento in diretta skype con il regista il quale risponderà alle domande del pubblico

In apertura della mattinata ci sarà la proiezione di un trailer de "La terra che connette", il progetto del regista Andrea Fenoglio.

 

L'iniziativa si collegherà virtualmente all'evento della Giornata Mondiale contro il Razzismo (21 marzo) indetta dalla Nazioni Unite, che si celebra in tutto il mondo, in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960, il più sanguinoso dell'apartheid in Sudafrica.

Ingresso 4 euro fino ad esaurimento posti.

DI QUA' NON SONO LIBERO

E' di nuovo disponibile “Di qua non sono libero”, libro autoprodotto nel 2012 dal Comitato Antirazzista Saluzzese che contiene i racconti dei migranti giunti in città alla ricerca di un lavoro in agricoltura. 10 “storie di ordinaria migrazione e sfruttamento”, testimonianze sulla drammatica realtà nei paesi d’origine, l’attraversamento del deserto e del mare, lo scontro con una realtà assai diversa da quella immaginata.

 

“Noi le storie di queste persone dobbiamo ascoltarle. – scrive Marco Rovelli nella prefazione -  Per conoscere le loro nostalgie, come quella della famiglia lontana: come Yaya, che non vede sua moglie da quattro anni e tutte le sere prima di addormentarsi pensa di svegliarsi il mattino dopo vicino a lei e di avere dei bambini. Per conoscere le vessazioni e i ricatti che subiscono nel mondo del lavoro: come Traoré, che dice che il suo padrone “è bravo”, anche se sulla busta paga segna solo cinque giorni nonostante lui abbia lavorato tutto il mese e se avesse tutti i giorni segnati riuscirebbe a prendere la disoccupazione d’inverno, e questo dice che cos’è la normalità per un immigrato al lavoro, abituato a essere un servo. Per conoscere le vessazioni subite nella vita quotidiana: come Moussa, investito per un atto di razzismo gratuito. Per conoscere i desideri più profondi: come Aliu, che vorrebbe continuare a studiare, perché la conoscenza è la cosa più importante. Per conoscere i loro progetti, perché ci dimentichiamo sempre che sono uomini che vivono nel tempo, fatti di relazioni e di scambi affettivi come tutti. (…)  Sono tante molecole invisibili necessarie a tenere in piedi il corpo malato di questa società. Ma non sono riconosciute nel loro ruolo. Non ci sono, per gli immigrati, dignità né diritti. Dignità e diritti sono due parole destinate ad altri.”

 

Il libro, arricchito dalle intense illustrazioni di Alessio Mezzalama, è andato esaurito in breve tempo ed è scaricabile gratuitamente.

 

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GUANTANAMO C'EST FERME'

ATTRAVERSO TROPPE FRONTIERE

Il racconto di Bamba, drammatico e rocambolesco, in fuga dalla guerra. Attraverso il Ghana, il Burkina Faso, il Niger, l’Algeria, il Marocco, il Mali, il Senegal, l’Egitto, Israele. Il ritorno a casa, in Costa d’Avorio, e l’arrivo nell’Italia della crisi.

 

Dedicato a chi non ce l’ha fatta, ai morti di Lampedusa.

 

 

 

Mi chiamo Bamba e sono nato il 1° agosto 1986 a Abidjan in Costa d'Avorio. Mio padre è insegnante,  ha 2 mogli e 18 figli, io sono il più grande.

 

Sono andato a scuola 5 anni e dopo ho imparato il mestiere di falegname. A me è sempre piaciuto giocare a calcio così ho chiesto a mio padre di iscrivermi alla Africa Sports National, la scuola di football della più importante società calcistica ivoriana; ho fatto un corso per allenatori e ho cominciato ad allenare la squadra dei bambini più piccoli.

 

Poi è scoppiata la guerra e nel 2003 sono stato costretto a uscire dalla Costa d'Avorio. I ribelli cercavano i giovani per obbligarli ad arruolarsi e combattere per loro: nel mio quartiere la maggioranza era di etnia bété, io sono djoula e quindi era pericoloso per me. Gli altri della mia famiglia sono fuggiti in un villaggio lontano dalla capitale.

 

Sono uscito con un amico, all'avventura: in Ghana, Burkina Faso, Niger. Volevo andare in Libia ma ho avuto dei problemi con i touareg che ti fanno attraversare il Sahara. Ho pagato 200 euro (circa 100.000 franchi CFA) ma loro ci hanno portati in Algeria. Ci hanno messi dentro una automobile Land Cruiser, erano armati di grossi bastoni e per farci stare tutti ci tiravano calci. Dopo un lungo viaggio chiusi lì dentro ci siamo fermati ai piedi di una montagna. Ci hanno fatti scendere e lasciati lì dicendo che oltre la montagna c'era l'Algeria. Si vedevano delle luci che sembravano vicine, ma è il deserto che fa brutti scherzi. Abbiamo camminato per 36 chilometri, senza acqua e senza mangiare, abbiamo scalato la montagna e ci siamo resi conto che quelle luci erano ancora lontane. La città era Tamanrasset, siamo entrati di nascosto, per non farci prendere dalla polizia. Sono rimasto in quella città per due anni, facevo il muratore. Poi la polizia mi ha preso e e mi ha portato in Mali perchè non avevo i documenti. Sono riuscito a tornare a Tamanrasset e da lì fino alla capitale Algeri. Stavo in un quartiere dove c'erano tanti africani neri, ho fatto il calzolaio per un anno e qualche mese e appena ho avuto i soldi sono andato a Ceuta, in Marocco. Volevo passare in Spagna ma la polizia marocchina mi ha preso e consegnato a quella algerina. Sono stato tre mesi in prigione ed espulso ancora una volta in Mali. Ero nel quartiere Magnambougou, non sapevo più cosa fare ma non potevo tornare in Costa d'Avorio. In tutto questo tempo non ero riuscito a sentire la mia famiglia; ho poi saputo che mio padre era andato dal marabut   per consultare les fetiches e sapere se ero ancora vivo. “Perchè non mi chiama” chiese mio padre al marabut; “Tuo figlio vive ancora su questa terra ma non ti può chiamare perchè non ha niente sulla sua pelle” rispose il marabut.

 

Alla fine mi sono deciso di andare a Dakar, in Senegal. Non conoscevo nessuno. Un giorno ho visto un giovane, mi sono avvicinato a lui e gli ho spiegato la mia situazione. Lui ha avuto pietà di me e mi ha portato da sua madre che mi ha accolto in casa sua per un anno e due mesi.

 

A Dakar ho fatto il muratore. Uno che lavorava con me voleva andare in Portogallo, non so perchè. Mi sono lasciato convincere e ho pagato per avere un visto per il Portogallo ma mi hanno fregato e sono scappati con i miei soldi.

 

Ero proprio scoraggiato e nel 2008 ho deciso di rientrare in Costa d'Avorio che in quel periodo sembrava in pace.

 

Mia madre vendeva al mercato e con i soldi guadagnati mi ha pagato il visto per un mese e il biglietto d'aereo per andare in Egitto.

 

Con alcuni fratelli africani volevo andare in Israele. Costa 1000 dollari.

 

E' andata così: ci hanno caricati in 12 su un pulmino e dopo un giorno di viaggio siamo arrivati a un piccolo villaggio. Lì ci hanno nascosti inseme a degli altri, eravamo 40 persone, dentro una benna e coperti con dei teli di plastica perchè la polizia non ci vedesse. Alla frontiera sentivamo la polizia che discuteva con chi guidava il camion: non capivamo quello che dicevano, stavamo fermi e zitti sul fondo della benna, coperti da spessi strati di teli di plastica. I poliziotti sono saliti e con il calcio delle armi premevano sui teli per controllare ma poi ci hanno lasciati passare. Di notte siamo arrivati in un posto dove c'erano tre reti molto alte da attraversare, sorvegliate giorno e notte dalle guardie armate. Abbiamo marciato tutta la notte lungo le reti, ci dicevano che dovevamo attraversare la prima rete ed eravamo in Israele, dovevamo saltare e correre senza fermarci, senza tornare indietro altrimenti le guardie ci avrebbero ucciso. Abbiamo posato scarpe e borse, scalato la  rete e cominciato a correre, la polizia egiziana ha sentito il rumore dei nostri piedi nudi sulla sabbia, hanno urlato alle nostre spalle per dare l'allarme e cominciato a sparare. Uno del Burkina Faso è stato colpito ed è rimasto a terra, due suoi compagni hanno rischiato la vita per tornare indietro a prenderlo e aiutarlo a passare la seconda rete. Il sangue usciva e lasciava una striscia sulla sabbia.

 

Ormai ce l'avevamo fatta: i soldati israeliani ci venivano incontro e ci hanno portati in un grande campo militare. Il burkinabé è morto appena siamo arrivati al campo.

 

Così sono arrivato in Israele e ci sono rimasto quasi tre anni senza documenti. Ho fatto diversi lavori, non stavo male, sentivo regolarmente la mia famiglia. Ho provato anche ad andare verso Gaza, al confine con la Palestina ma era troppo pericoloso, bombe ed esplosioni tutti i giorni.

 

Finchè la polizia mi ha preso un'altra volta, messo su un aereo e rispedito in patria.

 

Era il 2011, la guerra era finita. Ad Abidjan cercavo i miei amici ma mi rispondevano sempre “E' morto, é morto”, qualcuno era fuggito all'estero, altri non si sapeva che fine avevano fatto. La mia famiglia è rientrata nella capitale quando è stato eletto il presidente Ouattara. Mio padre, che era rimasto in città, mi faceva vedere i segni dei proiettili sui muri della nostra casa che per fortuna non era stata distrutta dai ribelli.

 

Ma cosa potevo fare? Dovevo continuare la mia strada. Mi sono sposato con Awa, che conoscevo da quando era una bambina. Lei ha subito raggiunto la sua famiglia che abita da tanti anni a Lecco, da quando non c'era ancora l'euro. Nel 2012 sono venuto anch'io in Italia con il visto regolare.

 

 

 

E' un anno che sono qui, a Lecco non c'è più lavoro per noi, le fabbriche chiudono. Un amico del Burkina Faso era stato a Saluzzo l'anno scorso e aveva lavorato bene, così sono venuto anch'io, a giugno, sotto le tende a Guantanamo. Fino a oggi mi hanno fatto un contratto di 15 giorni per raccogliere le pesche, aspetto le mele e i kiwi poi a ottobre torno a Lecco e continuerò a cercare lavoro.

 

Mia moglie lava i piatti in un ristorante e aspetta il nostro primo figlio. Vorrei che nascesse in Africa, tanto per noi non c'è futuro qui.

 

Quando posso mi compro un furgone Mercedes e torniamo in Costa d'Avorio. Per fare del business, trasportare merci e persone, è un buon lavoro da noi...

 

 

 

(Guantanamo-Saluzzo, 2 ottobre 2013)

 

 

 

Lele Odiardo

Madame la Ministre vous ne pas venue en GUANTANAMO mais

Gentile Ministra Cécile Kyenge,

siamo i migranti africani del Foro Boario. L'abbiamo invitata a venire a vedere con i suoi occhi il campo in cui viviamo accampati da più di tre mesi e dove non ci sono le condizioni minime per un'esistenza degna.

Lei è stata invitata a Saluzzo per ascoltare quale sarebbe “l'esperienza saluzzese legata ai migranti e al lavoro stagionale”. Noi non siamo stati invitati, ma crediamo che per farsi realmente un'idea della situazione di Saluzzo sia importante conoscere anche il nostro punto di vista. Oltre a quello che potrà vedere con i suoi occhi quando verrà al campo, per noi è molto importante poterle comunicare i nostri bisogni più immediati. Vogliamo farlo direttamente, senza intermediari, e ci auguriamo di essere presi seriamente in considerazione.

Ecco i punti principali che sono emersi nel corso delle nostre assemblee e che, se affrontati, ci restituirebbero un po' di quella dignità che ci è negata:

• vivendo in un luogo come questo per noi è impossibile ottenere il riconoscimento di un domicilio e/o residenza. Vorremmo trovare una soluzione per questo problema che a sua volta ci impedisce di poter rinnovare il permesso di soggiorno;

• chiediamo che siano semplificate le procedure per il rinnovo dei permessi e per tutte le altre pratiche burocratiche che ci riguardano;

• rivendichiamo il diritto all'abitare: ogni uomo ed ogni donna dovrebbero avere una casa dove poter vivere in sicurezza e dignità. Trovarsi senza lavoro e finire in mezzo a una strada è sempre più facile in Italia. Per noi è troppo spesso la normalità, tanto più per chi di noi è rifugiato o è in attesa di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

• al di là della casa, i containers della Coldiretti non sono comunque abbastanza per tutti quelli che lavorano. Chiediamo che ci sia un posto per dormire al riparo da pioggia e freddo per tutti quelli che hanno un contratto o che cercano lavoro;

• chiediamo che non ci siano più sgomberi per chi vive in baracca;

• chiediamo che ci venga garantita l'acqua, che è un bene comune fondamentale per la vita e per la salute; che ci siano più bagni e più docce; che si possa avere accesso all'elettricità e che la raccolta rifiuti passi con regolarità, per evitare che si sviluppino gravi problemi igienici e sanitari.

Sappiamo che gli ultimi tre punti non riguardano l'azione del suo ministero o del governo, ma ne parliamo perchè lei sappia che anche a livello locale le cose si sarebbero potute fare diversamente per evitare questa situazione vergognosa. Questo è il quarto anno consecutivo che siamo a Saluzzo per lavorare o per cercare lavoro, ma ogni volta siamo visti come un'emergenza. Il lavoro stagionale è ciclico, le stagioni si alternano, ma questo non può essere il pretesto per parlare sempre di emergenza.

Pensiamo che tutti gli uomini e le donne migranti debbano essere riconosciuti prima di tutto come persone e non sempre come problemi. Speriamo sinceramente che lei si interesserà alla nostra situazione.

Cordiali saluti,

L'Assemblea migranti del Foro Boario.

Madame la Ministre vous êtes la bienvenue en GUANTANAMO

Gentilissima Signora Ministra

Abbiamo saputo che Lei verrà a Saluzzo sabato 7 del mese di settembre per parlare con il Sindaco della nostra situazione.

Da giugno siamo accampati al Foro Boario che noi chiamiamo Guantanamo perché non abbiamo scelto noi di vivere lì ma siamo stati costretti ad accamparci perché non c’era un altro posto per noi.

Siamo arrivati a Saluzzo per cercare un lavoro nella frutta: fino a oggi molti di noi hanno lavorato ma qualcuno purtroppo non ha trovato ancora niente.

Siamo in tanti, eravamo 600, oggi siamo ancora più di 400, viviamo in condizioni non dignitose, abbiamo costruito delle capanne, non c’è la luce e non ci sono i servizi, il comune ha messo l’acqua solo dopo che abbiamo protestato.

Siccome Lei viene a Saluzzo ci piacerebbe incontrarla per prendere insieme un thè o un caffè e parlare della nostra situazione: del problema del lavoro e della casa, dei permessi di soggiorno, delle condizioni di lavoro che siamo costretti ad accettare, dell’Africa che tutti noi abbiamo nel cuore.

Non si preoccupi, non ci sono problemi di sicurezza, venga pure da sola,  non ci piace che gli altri parlino di noi senza interpellarci. Lo sappiamo che ha tanti impegni ma provi a liberarsi e venire a Guantanamo sabato pomeriggio.

La aspettiamo!

I migranti di Guantanamo, Saluzzo

[ancora qui a chiedere]........................... DIGNITA' PER I MIGRANTI

Saluzzo – Venerdi 30 agosto alle ore 18 sarà inaugurata la Fiera Nazionale della Meccanica Agricola presso il Foro Boario, luogo diventato il simbolo della cosiddetta emergenza migranti. Proprio in quel luogo infatti, da mesi, convivono, separati da una recinzione, il campus della Coldiretti e la tendopoli abusiva.

L’anno scorso l’inaugurazione della fiera, avversata dal freddo e dal maltempo, fu teatro di una vibrante protesta dei migranti per ottenere migliori condizioni di vita.

 

In occasione dell’inaugurazione verrà diffuso il seguente comunicato:

 

 

(Ancora qui a chiedere) DIGNITA’ PER I MIGRANTI

 

 

Ai margini della città, nei pressi del Foro Boario, vivono accampati da mesi 600 uomini africani: sono arrivati a Saluzzo per cercare un lavoro come braccianti agricoli, molti di loro lo hanno trovato anche solo per qualche giornata, altri vivono sospesi tra una ormai debole speranza e la rassegnazione.

 

Accampati da mesi senza corrente elettrica, servizi igienici, due rubinetti fissati ad un palo dopo la “rivolta dell’acqua” di inizio agosto. Umiliati da ordinanze di sgombero e controlli assillanti, costretti a dormire su dei cartoni sotto tende di fortuna, a nutrirsi poco e male, a convivere con ratti, zecche e pidocchi, a cercare un posto appartato o fare code interminabili per orinare e defecare, umiliati da una condizione niente affatto voluta e dal colore della loro pelle.

 

Uomini con storie personali fatte di sofferenza, progetti e delusioni, uomini che hanno lasciato la loro terra di origine per migliorare le condizioni di vita di se stessi e delle proprie famiglie, uomini che chiedono casa e lavoro e non carità, portatori di una cultura ricca e affascinante che spesso si scontra con la chiusura mentale, il pregiudizio e l’indifferenza della maggioranza silenziosa.

 

 

Con il loro lavoro contribuiscono a sostenere un settore strategico dell’economia locale perché senza di loro, senza gli immigrati di qualsiasi nazionalità essi siano, la frutta non si raccoglie, perché nessun italiano accetta di lavorare per 4 o 5 euro all’ora, di sgobbare per 10 ore al giorno, di fermarsi quando piove o per aspettare che la frutta maturi, di lavorare qualche giorno o qualche mese sapendo che poi tanto il lavoro finisce e arrivederci all’anno prossimo.

 

I migranti sono quindi una risorsa per la ricca imprenditoria agricola che se ne deve far carico garantendo  l’ospitalità, condizioni di lavoro eque ed il rispetto dei diritti sindacali.

 

E la presenza dei migranti a Saluzzo non è certo un problema di ordine pubblico la cui soluzione delegare alle forze dell’ordine,  è ormai diventata una realtà che tocca tutti, le istituzioni e la società civile. Il livello di civiltà di un luogo si misura anche dalla capacità di accogliere e di confrontarsi con il diverso da sé, di condividere i problemi (perché la casa e il lavoro sono problemi che riguardano tutti), di agire per migliorare le condizioni di vità di che è in difficoltà e superare le disuguaglianze sociali.

 

 

 

Il comune di Saluzzo persevera nei suoi errori maldestri e afferma di essere stato lasciato solo a gestire un’emergenza che emergenza non è più, la provincia e la regione leghisticamente si defilano, a nulla sono servite le interpellanze al governo dei parlamentari locali. Intanto la realtà di “Guantanamo” è sotto gli occhi di tutti, stride e fa rabbia  ancor di più in occasione della scintillante Fiera Nazionale della Meccanica Agricola che si svolge proprio al Foro Boario. “Vetrina d’eccellenza dell’agricoltura professionale piemontese e non solo”, 35 mila metri quadrati di spazi espositivi, 5 mila posti auto gratuiti, 515 stands, 170 espositori, un ristorante e la passerella della frisona!

 

Qualcuno spera che i 600 al di là del recinto restino invisibili, non diano troppo fastidio e se ne vadano il più presto possibile, qualcun altro ancora non è stanco di chiedere dignità per i migranti!

 

 

 

Saluzzo, 28 agosto 2013

 

 

 

Comitato Antirazzista Saluzzese

PRESIDIARE LA DIGNITA'

Al foro boario a inizio luglio bivaccano abusivamente circa 400 migranti africani, senza acqua, corrente elettrica e servizi igienici. Dormono su dei cartoni e sotto teli di fortuna.

L’11 giugno è avvenuto lo sgombero farsa voluto dal sindaco per “far capire che il piano accoglienza sarebbe stato portato avanti senza tentennamenti dove deve essere chiaro che il saluzzese è un mercato con regole e confini, non il far west”. I migranti presenti erano circa 150.

 

Molto rumore per nulla visto che i migranti dopo pochi giorni hanno ri-montato altri teli e il loro numero è più che raddoppiato.

 

A questo punto è chiaro che gli interventi messi in campo per contenere gli arrivi non hanno prodotto alcun risultato: Il fenomeno è soggetto a variabili che sfuggono alle logiche del mercato del lavoro e ai numeri dell’accoglienza “dignitosa”; tuttavia l’aumento costante delle presenze negli ultimi 3 anni e le previsioni dell’inverno scorso quando si parlava di oltre 500 persone, erano ampiamente noti a tutti.

 

Prendiamo atto della scelta degli africani di rimanere al foro boario, sono tutte persone in regola, si comportano civilmente e hanno facoltà di muoversi liberamente sul territorio nazionale” dicono le autorità. Anche l’anno scorso si disse qualcosa del genere, poi arrivarono il freddo, la fiera agricola e il rischio ipotermia. Nessun essere umano “sceglie” di vivere in condizioni disumane! E meno male che si comportano civilmente, altrimenti chissà cosa succederebbe, oltre alle umiliazioni che già sono costretti a subire. Quanto alla libertà di muoversi sul territorio nazionale anche questo è un concetto discutibile, tutti preferirebbero di gran lunga fermarsi in un posto e progettare una vita un po’ migliore.

 

Sicuramente il cosiddetto “Progetto Accoglienza” non è del tutto realistico visto quello che sta succedendo: la realtà è fatta di corpi, odori, voci, fame, emozioni,  non solo di tavoli, carte, parole e calcoli…

 

Nonostante l’evidenza dei fatti “se l’obiettivo di evitare accampamenti selvaggi non sarà raggiunto, l’ordinanza di sgombero potrà essere reiterata”. Prima era una tendopoli abusiva, ora un accampamento selvaggio!

 

Il ritornello del coinvolgimento delle autorità centrali, degli accordi sovracomunali ormai non regge più: in attesa di una risposta da Cuneo, da Torino e da Roma si lascia che qualche centinaio di persone continuino a vivere come animali, nella sporcizia, in mezzo ai ratti, mangiando ciò che noi bianchi benestanti nel tempo della crisi avanziamo dalle nostre tavole. La proposta delle associazioni di volontariato di allestire un campo umanitario d’emergenza è stata bocciata senza appello.

 

Bisogna andarci al foro per capire veramente, guardare negli occhi chi è là, sentire la puzza del cibo andato a male, evitare le pozzanghere schiumose e i resti di scarpe e biciclette, respirare la rassegnazione, la diffidenza, la rabbia, la vita che nonostante tutto e tutti emana da un drappello di persone che giocano a dama, ascoltano musica africana dal cellulare, giocano a pallone.

 

Ma il piano di accoglienza “è tarato su un bisogno di manodopera che non supererà le 200 unità”. E va bene, mettiamo pure che saranno 200 a lavorare, e gli altri 300? Finchè si può saranno ignorati, poi saranno gentilmente invitati ad allontanarsi, poi ancora diventeranno un problema nazionale. In definitiva saranno abbandonati a se stessi, nella speranza che se ne vadano di loro spontanea volontà, non importa dove. Così, saranno il grattacapo di qualche altro sindaco che riprenderà la solita tiritera che bisogna occuparsi prima degli italiani, che non ci sono le risorse, che non c’è lavoro, che si aspettano gli aiuti dallo stato italiano che ha già tanti altri problemi.

 

E a forza di andare avanti senza tentennamenti si finisce per combinare guai e mettere a repentaglio l’incolumità dei migranti.

 

 

 

Per far sentire la voce dei migranti e di chi li sostiene abbiamo deciso di costruire un presidio permanente al Foro Boario, consapevoli che la situazione è drammatica e le soluzioni non sono facili.

 

Un presidio che sia luogo di incontro, ascolto e presa di coscienza; un presidio che lasci spazio alla speranza e all’elaborazione di proposte; un presidio per favorire l’informazione, l’auto-organizzazione dei migranti e la pratica della solidarietà.

 

Un luogo liberato da controlli e ricatti, aperto alla socialità, all’integrazione e alla rivendicazione dei diritti elementari per tutti, a Saluzzo e altrove!

 

 

 

Saluzzo, 11 luglio 2013

 

Comitato Antirazzista Saluzzese

In questi momenti a volte trovare il tempo di aggiornare il nostro blog è un po' difficile.

Inoltre la delega alle "autorità centrali" di decidere della sorte almeno 150 persone che dormono fuori senza i teli dopo l'applicazione dell'ordinanza da parte delle autorità locali forse prenderà tempo e per questo nell'immediato restiamo vicini al campo sotto sgombero.

I ragazzi e le relazioni umane sono sempre state e saranno la nostra priorità.

Grazie per il sostegno e la solidarietà che saprete portare.

Walter

https://www.facebook.com/comitatoantirazzista.saluzzese

 

 

Braccia a basso costo

Le condizioni abitative estreme sono il prodotto dei mali italiani. Dopo aver visto decine di accampamenti e luoghi degradati sembra quasi normale associare gli africani alle bidonville delle campagne italiane. E qualcuno finisce col pensare che gli africani non siano in grado di vivere in normali appartamenti: «Al loro paese sono abituati così». Niente di più falso. La maggior parte di queste persone viveva in case normalissime in cui tornava al termine dell’orario di fabbrica. L’impoverimento per loro è stato brutale, ma non diverso dal peggiore dei nostri incubi. Immaginate un welfare sempre più indebolito; genitori che invecchiano e non sostengono più i figli; padroni che allargano le braccia e sostengono di essere a loro volta sfruttati; pregiudizi che vi colpevolizzano. È quello che sta accadendo al lavoro italiano, un processo di lenta e progressiva «rosarnizzazione». I prezzi si abbasseranno, si dice da anni. Per ora si sono abbassati solo gli stipendi. E lo sfruttamento del migrante è stato solo il laboratorio di un processo che trasforma il cittadino in braccia a basso costo. Un processo che ci ha investito in pieno.

Le campagne sono lontane dai riflettori dei «grandi» media e dagli interessi dei politici. Ma sono anche luoghi di elaborazione di risposte ai problemi della casa e del lavoro. Temi che fino a qualche tempo fa sembravano lontani per molti italiani. Oggi nelle grandi città i trentenni dividono un appartamento anche con cinque coinquilini e in ogni posto di lavoro le forme di sfruttamento hanno raggiunto livelli mai visti. Eppure, chissà perché, continuiamo a tenere la voce «problemi dei migranti» separata dalle altre.

8 euro a copia

5 euro per i distributori o per chi ne ordina più di 5 copie

Per l'acquisto del dvd inviare la richiesta via mail a comitatoantirazzistasaluzzese@gmail.com consegna a mano o spedizione previo accordo.

Invisibili

Contenuto del DVD

 

Appunti per un film sui braccianti africani a Saluzzo (doc, 29', Italia, 2012)
di Andrea Fenoglio,Trengari autoproduzioni
Il film racconta tre situazioni: la giornata di un bracciante africano, una testo letto dal poeta Ibrahim Diabaté
“le combattent pour la justice”e un'intervista intorno al fuoco di due abitanti della tendopoli costruita a Saluzzo dai braccianti africani rimasti esclusi dai progetti di accoglienza.
Progetto fotografico in corso di realizzazione per raccontare la vita privata, oltre il lavoro, dei braccianti stranieri in italia

In Nome del Popolo Italiano (doc, 7’, Italia, 2012)
di Gabriele Del Grande e Stefano Liberti, ZaLab/Open Society Foundation
Padri di famiglia, lavoratrici, ragazzi e ragazze nati in Italia. Al centro di identificazione e espulsione (CIE) di Roma ne arrivano ogni giorno. Non hanno commesso alcun reato, eppure rischiano di passare 18 mesi dietro le sbarre in attesa di essere espulsi. La loro detenzione è convalidata da un giudice di pace. In nome del popolo italiano.

Autori

Andrea Fenoglio (Pinerolo, 1977)

Per la Comunità Montana Pinerolese Pedemontano firma nel 2007
“L’isola deserta dei Carbonai”, un film sugli ultimi carbonai della Valle Lemina, vicino a Pinerolo. Il film vince nel 2007 il premio della giuria al 55° Trento Film Festival e al 10° Cervino Cine Mountain. Assieme a Diego Mometti e alla Fondazione Nuto Revelli ONLUS di Cuneo ha realizzato il Progetto Aristeo, una ricerca che ha prodotto un’articolata serie di materiali audiovisivi che uniscono le testimonianze audio
registrate da Nuto Revelli negli anni ’70 del secolo scorso per la sua indagine sul mondo contadino della provincia di Cuneo, con le nuove testimonianze raccolte oggigiorno tra i discendenti di quei primi testimoni.
Questo lavoro ha generato una serie di opere: “Il popolo che manca”, film documentario vincitore del premio speciale della giuria, del premio UCCA e del premio AVANTI al 28° Torino Film Festival, premio della critica cinematografica italiana “Luciano Emmer” al 59° Trento Film Festival. La serie documentaria distribuita in cofanetto DVD “Il popolo che manca, La terra - Il Lavoro - Le migrazioni”; la video installazione omonima prodotta dal gruppo di critiche d'arte a.titolo di Torino per il CESAC di Caraglio(CN).

 

Gabriele Del Grande

Nato a Lucca nel 1982, viaggiatore e scrittore, si è laureato a Bologna in Studi orientali. Scrive per L'Unità, Redattore sociale e Peace reporter. Nel 2006 ha fondato l'osservatorio sulle migrazioni “Fortress europe”. Ha pubblicato per Infinito editore di  Roma, “Mamadou va a morire”, 2007 e “Roma senza fissa dimora”, 2009. Ha collaborato al documentario  “Come un uomo sulla terra”.

 

Stefano Liberti

Stefano Liberti è un giornalista del Manifesto; i suoi reportage sono usciti su varie testate italiane (Geo, L'Espresso, Ventiquattro) ed estere (Le Monde diplomatique). Collabora con il programma televisivo "C'era una volta" ed è tra i curatori di mwinda, sito di analisi geopolitica sull'Africa (www.mwinda.it). Da anni si occupa delle migrazioni dall'Africa verso l'Europa, del 2004 è il libro "Lo Stivale meticcio. L'immigrazione in Italia oggi" (Carocci), curato con Tiziana Barrucci . Ha collaborato al documentario "A sud di Lampedusa" girato da Andrea Segre nel deserto del Sahara, in Niger, nel maggio 2006 e sempre con Segre a Come un uomo sulla terra, 2008 e Mare chiuso, 2012. Nel 2009 ha vinto il premio Indro Montanelli per la scrittura con il libro "A sud di Lampedusa". Nel 2010 il premio L'Anello Debole con il reportage "L'inferno dei bimbi stregoni".

 

Giacomo Francesco Lombardi

(Alessandria 1986), fotoreporter e giornalista freelance, si occupa di temi sociali. Nell'autunno 2012 ha iniziato il progetto fotografico “Frutti migranti” per documentare le condizioni di vita dei braccianti stranieri in Italia. Ha pubblicato su La Stampa, Corriere della Sera, L'Unità, Terra, Il Post, Frontierenews, La Voce, Corriere di Saluzzo. Ha fondato il collettivo Asa Cube photo collective.

 

Antonello Mangano

autore di ricerche, inchieste e saggi sui temi delle migrazioni e della lotta alla mafia. Fondatore della casa editrice “terrelibere.org”. E’ autore dei libri "Gli africani salveranno Rosarno"(terrelibere.org 2009), “Gli africani salveranno l’Italia” (Rizzoli 2010) e "Voi li chiamate clandestini" (manifestolibri 2010)". Collabora con MicroMega e Repubblica.it

 

Luca Oggero  El Lucho Balboa

Io creo per... trasformare i miei demoni in bellezza

Le canzoni El Lucho narrano la condizione umana praticamente allo stesso modo, cioè mescolando stili e tecniche in modo talvolta drammatico, talvolta malvagiamente ironico ed a volte apparentemente spensierato in una ricercata naiveté quasi tribale.

Nelle canzoni del suo primo album ufficiale "Porci senz'ali ed altri animali", tra atmosfere indie-rock anni '90, psichedelica elettro-acustica,  punk rabbioso e canzone d'autore.

Già cantante della band-culto Uovatomiche, Luca Oggero si presenta come un autore fuori dagli schemi e portato alla ricerca ed alla sperimentazione, pur non allontanandosi mai dal territorio che più ama: quello della forma-canzone.   myspace.com/lucaoggeroband



 

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